Regioni stritolate dai debiti. Banche padrone della Sanità
Regioni crac. La sanità è un business esattamente come il mercato automobilistico, e la salute delle persone è passata in secondo piano. La ricerca è praticamente in mano alle banche che finanziano le Multinazionali. Ma il privato non lucra solo sulla produzione di medicine. Ormai anche gli ospedali, la diagnostica, e sempre più servizi, sono effettuati da “privati convenzionati”. Con la classica “strategia della gradualità” descritta da Noam Chomsky, i privati si sono introdotti nella sanità italiana e si sono fatti spazio, mentre la sanità pubblica cade sempre più a pezzi. Il tutto, con la complicità o il silenzio-assenso dell’intera classe politica italiana. Le nazioni occidentali sono succubi di un ristretto cartello di multinazionali, dietro alle quali si celano le banche. Alcune regioni chiudono gli ospedali col pretesto delle ristrutturazioni. A Roma 3 casi eclatanti, il S. Giacomo, Forlanini e tra breve il Cto. Quindi, mentre ci si aspetterebbe un miglioramento, questo viene vanificato dalle puntuali chiusure. In particolare, nel caso del S. Giacomo, è di ardua comprensione il gettar denari pubblici per il suo rifacimento, per poi procedere alla saracinesca. La famiglia proprietaria dello stabile, è tornata in possesso dello stabile, solo dopo essersi dovuta difendere dall’assalto di Caltagirone che voleva farne un comprensorio residence con annesso hotel a 4 o 5 stelle.
Il camaleontico Vaticano gesuita si riprende la creatura di Don Verzè. Il fallimento del San Raffaele ha fatto si che le strutture siano finite in mano alle banche, ma solo temporaneamente. Non più. Il percorso si completa con l’ospedale di Olbia, che viene comprato dall’emiro Al-Thani, ma il cui “partner scientifico” sarà l’ospedale Bambin Gesù di Roma. Che significa? Che l’emiro mette i soldi, e il vaticano la gestione. Ma non è lo stesso emiro che finanzia Hamas, Isis, i “ribelli” siriani, le “primavere” arabe? Non è lo stesso emiro emanazione diretta della massoneria inglese? Ed ecco che come per magia, qualche anno fa il gruppo fondato da Verzè (che faceva parte della piramide opusdeista che ora è perdente), improvvisamente va in crisi: le banche, come d’incanto, si accorgono dopo decenni, che il gruppo è un castello di carte con miliardi di debiti, e lo fanno fallire. Il Vice Presidente del gruppo, Mario Cal, si suicida. Il vaticano (indovinate quale parte?) si pappa il San Raffaele grazie ad un miliardo di Euro pagati da George Soros, che ai gesuiti piace come fosse un figlio, e che è talmente una brava persona da regalare loro un miliardo di euro a scopi di didattica e ricerca. Poi l’ospedale milanese passerà ufficialmente nelle mani del gruppo San Donato, di Rotelli. Ma è la stessa cosa.
Ora il quadro si completa con il riacquisto di uno degli asset che era rimasto in mano alle banche: l’ospedale San Raffaele di Olbia.La Qatar Foundation Endowment investirà 1,2 miliardi di euro nei prossimi 12 anni e avrà come alleato il Bambin Gesù di Roma. Alle banche creditrici del fallito gruppo di don Verzè andranno 33,8 milioni, la metà di quanto sarebbe loro spettato. Finora la proprietà è stata delle banche, ora è del Qatar. E tra poco cambierà anche l’unica certezza del palazzone bianco all’ingresso sud di Olbia che punta a diventare ospedale d’eccellenza: il nome. Non più San Raffaele, o ex San Raffaele. Spazio alla fantasia, anche se è altamente probabile un omaggio al partner scientifico del progetto, l’ospedale Bambin Gesù di Roma. Il Qatar mette i soldi, il Vaticano le competenze e parte del personale medico. L’Emirato metterà sul piatto 1,2 miliardi di euro di investimenti in dodici anni. La cifra che invece arriverà a Sardaleasing e alle società di leasing che fanno capo a Banca Intesa, Monte dei Paschi di Siena e al gruppo bancario delle Casse di credito cooperativo e casse rurali viaggia sui 33,8 milioni di euro. Si tratta di circa metà dei crediti vantati nei confronti dell’ex gruppo di don Luigi Verzé, il prete manager della sanità. L’incompiuta – Di San Raffaele e dell’ospedale dei sogni si parla in Sardegna dagli anni Ottanta. La costruzione è iniziata 20 anni più tardi e l’apertura è stata sempre rinviata, fino al crac della fondazione Monte Tabor che l’ha definitivamente affossato. Un buco milionario che ha trascinato la Metodo impresa e quindi le ditte subappaltatrici sarde. Poi l’arrivo dei “salvatori” del Qatar, che completeranno l’opera con 100 milioni di euro iniziali e l’acquisto di macchinari e arredi. Quello del Qatar, da realizzare entro il 2016, sarà quindi anche l’ospedale della Costa, ma non solo. Il progetto prevede 242 posti letto ad assistenza convenzionata, quindi pagata con soldi pubblici ai gestori del Qatar per una spesa di 55 milioni di euro all’anno che verserà la Regione. L’ipotesi è quella di tamponare così la migrazione dei malati sardi che costa 62 milioni di euro l’anno a un sistema perennemente in perdita. I proprietari batteranno invece cassa con la parte totalmente privata, in sostanza una clinica, anche per stranieri, da 50 posti letto. O meglio vere suite. Le specialità comprendono tra le altre pediatria, cardiologia, neurologia e unità coronarica.
Una circolare della Regione Toscana ha annunciato la decisione “di interrompere l’erogazione delle prestazioni di ricovero e specialistiche verso i residenti di fuori Regione”. Alla Regione Toscana si dovrebbero presto allineare anche Veneto ed Emilia Romagna.
La Sanità in Calabria raggiunge punte, nei pagamenti ai fornitori, di 1.200 giorni. In Campania, mille giorni sono la normalità. La media nazionale varia tra 308 e 310 giorni, con qualche leggero segnale di accelerazione nelle ultime settimane. Ma sono comunque dieci mesi di attesa dalla data della fattura al momento in cui i soldi entrano nella cassa dell’azienda fornitrice. Una situazione semplicemente insostenibile. Che colpisce tutti, indistintamente: dai colossi di Big Pharma ai piccoli artigiani, che su questi vergognosi ritardi sacrificano l’attività dell’azienda. «È sulla base di questi dati che abbiamo deciso di trasformare la nostra società in banca — spiega Marco Rabuffi, amministratore delegato di Farmafactoring —. Dopo 28 anni di attività nel factoring, con un mercato di riferimento che è quello della Pubblica amministrazione e in modo particolare della sanità e con la chiara intenzione di voler continuare a operare in questo settore, era evidente la necessità di una nostra maggior specializzazione, di una capacità di rispondere rapidamente alle esigenze della clientela, soprattutto perché noi siamo un player indipendente, che non ha alle spalle alcun gruppo bancario e che deve essere competitivo non solo al momento dell’offerta di servizi, ma anche nel funding». Nell’azionariato di Banca Farmafactoring trovano spazio quattro operatori del settore (Mediolanum Farmaceutici, L. Molteni & C dei Fratelli Alitti, Merck Serono e Bracco) che tutti assieme valgono l’8,28 per cento del capitale, mentre la quota restante (91,72 per cento), è in mano al fondo Apax.